Una giornata da “yes man” per riscoprire l’importanza del “no”

Vedendo “Yes Man”, il celebre film con Jim Carrey del 2008, tutti noi abbiamo pensato a cosa potrebbe succedere se fossimo noi stessi i protagonisti: imponendoci per una giornata il “sì” come unica risposta a qualsiasi interrogativo, in quali inaspettate avventure potremmo essere catapultati?


Magari così facendo, accettando l’inaccettabile, potremmo ritrovarci come il protagonista ad imparare una lingua che mai avremmo preso in considerazione, a prodigarci per un clochard o a dare un passaggio ad uno sconosciuto accogliendo gli imprevedibili scenari nei quali tale individuo potrebbe condurci.


Con il mito di questa pellicola impressa nella testa, ripercorsa almeno una volta all’anno a causa della ripetuta programmazione televisiva, ho deciso così di mettermi alla prova in una giornata da Yes Man, con un proposito in più: comprendere sia quanto una risposta positiva possa aprire nuovi spazi nelle relazioni e nuovi scenari, sia quanto un “no” deciso a volte sia fondamentale.


Cronache di una giornata all’insegna del sì

Il proposito di fornire risposte affermative a qualsivoglia richiesta o quesito ha aperto scenari interessanti sia sul piano lavorativo che relazionale.

Il “Sì” non solo era la risposta designata per le richieste provenienti dalla bocca delle altre persone, ma si declinava sia come intercalare iniziale di ogni affermazione in risposta all’interlocutore, sia in risposta a “conversazioni interne”, cioè a qualsiasi dialogo privato tra me e me volto a prendere decisioni o a chiedermi se era il momento adatto fare qualcosa.


Fin da inizio giornata, la situazione sembrava promettente: ascoltando la vocina che mi sottoponeva le prime scelte del giorno, sono finito a vestirmi fin troppo elegante per una normale giornata d’ufficio, ho fatto colazione con due bei toast al posto del classico latte e biscotti e, infine, nel tragitto verso lavoro, ho deviato su strade sperdute che non avevo mai considerato.


Un buon inizio: ero incoraggiato e mi sentivo leggero.


Le questioni più impegnative sono cominciate sul posto di lavoro. Partecipando volontariamente (in realtà forzatamente) al primo caffè della giornata, ho confermato la mia presenza ad una riunione extra del pomeriggio, mentre dentro di me mi interrogavo su quanto avrebbe scombinato i programmi della mia giornata. Ho cercato di tollerare la mia scelta e ho guardato oltre.

La propositività dimostrata nell’accettare tale invito è stata notata dalla collega della scrivania più vicina, che con fare gentile mi ha delegato un paio di attività extra. Mansioni di quelle che nessuno vorrebbe affrontare. “Se si è svegliato così bene, magari avrà voglia di aiutarmi”, avrà pensato. E cosa risponderle se non con un “Sì”, già più titubante rispetto al precedente, talmente prolungato da sembrare unito ad un punto interrogativo in conclusione.


Dopo le prime vicende, finalmente sono seduto alla scrivania.

Nel decidere da che progetto far partire la giornata lavorativa, la scelta è caduta sui più piacevoli e leggeri. Giustamente, sono anche quelli più comodi da affrontare. 

In seguito, un promemoria ha suonato avvisandomi che in giornata avrei dovuto sbrigare un lavoro che rimandavo da giorni. Recitava: “Hai intenzione di rimandare anche oggi?” Risposta affermativa.


La giornata trascorre tra lavori sovrapposti l’uno sull’altro, frequenti inviti accettati a prendere molteplici caffè e chiacchiere dilungate grazie al mio interesse dimostrato a volerne sapere sempre di più.


Decidendo saggiamente di concludere la giornata a casa, ho potuto fermarmi a ripercorrere quanto era successo: di fronte alle più svariate richieste ero riuscito a fornire sempre risposte affermative. Non posso nascondere la resistenza emersa in certe occasioni a dire di “sì”, come le frequenti riflessioni a come quelle risposte affermative potessero portare solo complicazioni. 


C’è un tempo per i “sì” e uno per i “no”

Ripensando alla giornata trascorsa, mi dicevo che non era esattamente come me la immaginavo.

Certo, non sono venute fuori folli avventure come nel film: non ho mollato tutto e sono partito per un viaggio intorno al mondo, non ho fatto pazzie, né mi sono abbonato a strane riviste né mi sono unito a movimenti di protesta.

Ho semplicemente vissuto nel mio contesto quotidiano, osservando ciò che succedeva e le conseguenze alle mie risposte positive.


Dal mio racconto sembrerebbe che siano venuti fuori solo imprevisti e contrattempi. Solo dalla riflessione di fine giornata, al contrario, ho potuto cogliere come era cambiata la predisposizione delle persone nei miei confronti.

Mi sono relazionato di più con le persone, vuoi per la loro necessità di una mano o solo per la loro voglia di interagire; ho approfondito discorsi e ho visto l’apprezzamento negli occhi delle persone per il fatto di essere ascoltate; ho sentito maggior vicinanza e considerazione.

In particolare, un messaggio ricevuto in serata proveniente dal collega con cui ho passato la pausa pranzo recitava: "Mi è servito molto parlare con te oggi, avevo proprio bisogno di riflettere. Grazie di avermi ascoltato”.


D’altra parte, allo stesso tempo, ho vissuto una giornata di distrazioni continue, impegnato a tener fede al mio proposito. Ho portato avanti conversazioni e questioni che si sovrapponevano le une sulle altre, ho deciso di leggere istantaneamente mail e messaggi perditempo e ho dato attenzione a tante questioni che normalmente non avrei neanche lontanamente approfondito.


Risposte connesse ai nostri bisogni

Sono frequenti i casi in cui le persone non riescono ad opporsi alle richieste che gli vengono espresse. L’autorevolezza, la gerarchia nelle relazioni, o il timore di deludere le aspettative del proprio interlocutore, possono spingere la persona ad accettare ed adeguarsi ad una proposta, vedendo venir meno i suoi bisogni e la stima in sé stessi. La difficoltà a dire di no conduce a fare sacrifici, a rinunciare ai nostri interessi e, in definitiva, a tradire noi stessi.


La dichiarazione del “no” è intimamente legata alla nostra capacità di essere assertivi. Marshall Rosenberg, padre della comunicazione nonviolenta, parla di assertività come la capacità di poter esprimere i propri bisogni nel rispetto di quelli degli altri. Saper dire di no, senza temere di essere giudicati negativamente dagli altri, vuol dire riconnettersi alle nostre vere necessità e distinguerle da quelle degli altri, vivendo privi di ansie per le eventuali conseguenze.


Un aspetto è importante evidenziare in questo senso: quando diciamo di no ci opponiamo alla richiesta, non alla persona che la esprime. L’idea che il nostro rifiuto possa offendere qualcuno risiede il più delle volte nella nostra stessa mente, sottovalutando oltretutto le risorse di chi gli sta di fronte: una persona che ha a cuore la serenità dell’altro non si offenderà per un “no” assertivamente motivato.

Spesso succede che la necessità di dire di “si” non ha a che vedere con il desiderio di aiutare o di essere utile, ma con la paura di perdere qualcosa di importante per noi (amore, apprezzamento, riconoscimento, immagine...), riconducendoci, quindi, alla ricerca dell'apprezzamento, dell’accettazione, del riconoscimento degli altri.


Per dire di “no” con fermezza e convinzione, consapevoli dei propri bisogni, è importante capire cosa realmente desideriamo. Il nostro “no” può essere una decisione intelligente, una scelta per tutelarci. In questo senso, chiediamoci se ciò che ci viene chiesto di fare sia davvero necessario o se declinare non sia poi un grosso problema. 


Ogni “no” deciso infonderà forza, migliorerà l’autostima e porterà chiarezza dentro di sé. Dire no è importante per proteggere la nostra sfera personale e dare spazio a ciò che è veramente prioritario.