Consulente o coach?

Consulente o coach? Come capire di chi hai bisogno

È la domanda da un milione di dollari. Il concetto di coach è relativamente recente, mentre il consulente lo conosciamo (e ci lavoriamo assieme) da sempre. Quali differenze esistono tra un consulente e un coach? Quando serve l'aiuto di un coach e quando invece devo rivolgermi a un consulente? 

Anche se nel sentire comune coach e consulente possono sembrare sinonimi, si tratta di due figure professionali completamente diverse. Vediamo le principali differenze.

1. Con il coach il cliente ha un rapporto paritario, con il consulente no

Del consulente riconosciamo la grande esperienza in uno specifico ambito, per esempio il marketing digitale, il controllo di gestione, oppure l'implementazione in azienda di particolari applicativi. Di fatto, ci affidiamo al consulente perché ne sa più di noi in un certo settore e si occupa di cose che noi non abbiamo mai fatto, oppure abbiamo fatto parzialmente o a un livello che riteniamo migliorabile. 

Ne deriva che il consulente è in una posizione di superiorità rispetto al cliente, al quale - dopo una fase di analisi e studio - fornirà la ricetta per risolvere i suoi problemi. Il consulente ci dice cosa dobbiamo fare, quali strategie e azioni dobbiamo mettere in campo, quali vanno evitate, e spesso al termine della consulenza elabora un piano, progetto o cronoprogramma che dovremo seguire.

Sia chiaro: il fatto che si tratti di una relazione top-down (dall'alto al basso) non presenta alcun problema. La consulenza è fondamentale, per le persone e per le imprese, quando debbano acquisire dall'esterno competenze specifiche che non hanno.

Il coach invece è sullo stesso piano del cliente (che viene chiamato in questo caso coachee).

Non ne sa più di lui e non gli dirà mai cosa fare o cosa non fare: per il coach, il coachee ha già tutte le risposte di cui ha bisogno dentro di sé ma per un motivo o per l'altro non riesce a vederle. Funziona in questo caso come una torcia, che aiuta a illuminare angoli bui o poco visibili: proprio come chi cerca o scopre qualcosa, le reazioni più belle del coachee sono proprio "Ah, ecco dove l'avevo messo!" e "Cavolo, non sapevo di avere anche questo." 

Ciascuno di noi è il migliore conoscitore di sé stesso: spesso desideriamo un cambiamento, vogliamo andare da una data situazione iniziale "A" ad una situazione ideale "B" ma può capitare che non sappiamo come arrivarci. 

Il coach è un professionista che promuove l'auto-apprendimento, aiuta a vedere la realtà con occhi nuovi e identificare credenze, cosiddette limitanti, che ci frenano nel raggiungimento dei nostri obiettivi. Il coach non ci dirà mai come fare le cose, perché il come deve emergere dal coachee ed essere coerente con la sua vita e la sua identità.

2. Il coach non interviene sulle nostre azioni ma su come vediamo il mondo

Sembra una ripetizione del concetto già espresso ma la Figura 2 aiuta a comprendere perché è diverso. Il consulente con i suoi consigli interviene sulle nostre azioni: ci dice esplicitamente che cosa dobbiamo fare e dove abbiamo bisogno di arrivare. Grazie alla sua esperienza in un dato contesto e la sua capacità di fare parallelismi con la nostra situazione, ci prescrive una serie di attività da realizzare. Nel migliore dei casi amplia il nostro bagaglio di conoscenze e attività, aggiungendone di nuove. Insomma, inserisce qualche nuova freccia nella faretra del nostro arco. Si dice che genera un apprendimento di primo livello.

Per capire cosa fa il coach, è bene richiamare la filosofia costruttivista: 

Non esiste nulla di dato o di oggettivo, esiste solo ciò che viene percepito da ciascuno di noi nel suo vivere quotidiano. 

E tre persone diverse avranno idee, percezioni, opinioni ed emozioni diverse davanti alla "stessa" situazione. 

Proviamo a spiegare il modello che sta dietro questa filosofia con lo schema sotto. Ciascuno di noi in primis (1) osserva il mondo, ne acquisisce dati che trasforma in informazioni (e in quell'interpretazione dei dati è come se decidesse di indossare uno specifico paio di occhiali); sulla base di questa osservazione dei fatti del mondo, ognuno di noi forma delle opinioni (e anche dei giudizi) che negli anni costituiscono veri e propri modelli interpretativi della realtà, sulla base dei quali agiamo (2).

Infine, (3) analizziamo i Risultati ottenuti da quella serie di Azioni messe in campo: se il risultato è soddisfacente meglio così, se non lo è... modifichiamo le azioni messe in campo, ma raramente torniamo indietro a riflettere sui modelli interpretativi adottati.

Con il coach si va a lavorare sugli occhiali scelti per osservare il mondo e sui modelli interpretativi da cui deriviamo opinioni e giudizi, per generare una gamma di azioni radicalmente diverse da quelle che - senza cambiare punto di vista - riusciremmo a mettere in campo.  Tornando all'esempio dell'arco e delle frecce, il coachee potrebbe scoprire che non deve aggiungere l'ennesimo dardo nella faretra ma deve proprio cambiare arma per raggiungere il target. Si parla di apprendimenti di secondo e terzo livello.

Ti piace il concetto degli occhiali? Prova a leggere "Las gafas de la felicidad" (in spagnolo, non abbiamo trovato la versione italiana, ma c'è sempre questo altro ottimo bestseller) o questa intervista in inglese all'autore Rafael Santandreu.

3. Con il coach lavori 10 ore, con il consulente 100

Ok, ok, qui stiamo semplificando. Rimane però vero che la differenza di percorso si vede. Un consulente lavora molte ore con l'impresa. Raramente viene, vede e vince. 

Nella nostra esperienza (ricorderete che nel nostro team nasciamo consulenti di marketing e innovazione), una consulenza dura mesi ed è composta da numerose giornate in azienda e infinite giornate di lavoro dietro alle quinte fuori dall'impresa. Ed è giusto che sia così.

Ciascuna sessione di coaching invece dura tra le 1 e le 2 ore (incontro vis-a-vis coach e coachee) e in genere il percorso comprende tra le 6 e le 10 sessioni, distanziate tra loro da un tempo compreso tra 2 e 4 settimane. 

È un lavoro intensivo e molto profondo, che mette alla prova coach e coachee (provare per credere!) ma il tempo sopra indicato è sufficiente per generare l'apprendimento necessario nel coachee e fornirgli strumenti nuovi per osservare, interpretare e agire la realtà che lo circonda.

Il risultato è sempre garantito? Ovviamente no. 

Dipende da tanti fattori ma prevalentemente dalla disposizione d'animo del coachee e dalla sua reale ed effettiva voglia di mettersi in gioco e svolgere un lavoro, alle volte anche spiacevole (uncomfortable) su sé stesso. Ma parleremo meglio di persone uncoachable in un prossimo articolo. In ogni caso è un lavoro focalizzato e concentrato nel tempo. 

E quindi, quando rivolgersi a un consulente e quando a un coach? 

Rivolgiti a un consulente se hai bisogno di un esperto di uno specifico tema, che ti dica cosa fare. Ecco alcune domande che a nostro avviso vanno bene per un consulente:

Rivolgiti a un coach se hai già compreso che hai bisogno di lavorare su di te per risolvere alcuni problemi, o ti rendi conto che la soluzione e il cambiamento dipendono da te. Ecco alcuni esempi: 


Se questo articolo non ti ha aiutato, puoi sempre provare. Nel corso di un primo colloquio conoscitivo il coach avrà tutto l'interesse a dirti qual è la figura più adatta con cui lavorare.

Puoi chiedere a un amico coach, cercarne uno su LinkedIn, consultare gli "albi" di associazioni come ICF (International Coach Federation) oppure scrivere a noi.


© Foto di mohamed Hassan da Pixabay