I tanti significati del "non so"

I tanti significati del "non so"

Davanti a una domanda che ci riguarda possiamo davvero pretendere di "non sapere"? Molto spesso diciamo "non so" per sbarrare la strada a una conversazione che sta andando in una direzione che non ci piace. Ogni "non so" rappresenta l'opportunità di scoprire qualcosa di nuovo.   

Il principale strumento utilizzato dal coach durante la sessione con il coachee sono le domande. La capacità di porre domande potenti è una delle competenze chiave del coaching, inserita nel Gold Standard dell’International Coaching Federation (ICF).

Le domande del coach non inducono sempre, istantaneamente, delle risposte. Si potrebbe anzi dire che le domande più interessanti sono quelle in grado di generare silenzio, di indurre una pausa di riflessione, un momento di introspezione, una ricerca di elementi nuovi. Le risposte immediate possono invece celare automatismi frutto di riflessioni e analisi del passato, che non vengono rimesse in discussione.

Caro coachee, il tuo silenzio è d'oro

Il silenzio non è particolarmente apprezzato nella cultura occidentale. Siamo abituati a intrattenere conversazioni rapide e dal ritmo serrato, a rispondere immediatamente, a flussi di parole ricchi di informazioni. Il silenzio viene spesso travisato come un segno di debolezza, di incompetenza, di impreparazione, di distrazione.

Ciò non accade nelle culture orientali, dove il silenzio è segno di attenzione, rispetto, accoglienza delle parole dell’altro. Nei Paesi asiatici parlare in maniera concitata a ridosso delle parole altrui viene inteso come segnale di un ascolto impaziente e di bassa qualità. 

Per la nostra società comunque il silenzio all’interno di una conversazione rimane un ospite inatteso e spesso sgradito, motivo per cui capita spesso che il coachee preferisca offrire un “non so” come alternativa al non rispondere a una domanda.

Ma non è solo così che nascono i “non so”: spesso siamo davvero convinti di non sapere la risposta a una domanda che ci riguarda. In altri casi invece diciamo “non so” perché è la risposta più gentile e diplomatica che possiamo offrire.

E questo accade anche al di fuori delle conversazioni di coaching.

Edward Hopper, Automat, 1929

I tanti significati di "non so"

Rafael Echeverria, accademico, imprenditore e padre del coaching ontologico, sostiene che noi sappiamo sempre; alle volte però non sappiamo di sapere.

In termini generali, davanti a una domanda che ci riguarda è difficile che il nostro “non so” indichi davvero che non conosciamo la risposta o che non abbiamo alcuna proposta di risposta da offrire.

Dice invece qualcosa sul contesto e sulla relazione all’interno dei quali si svolge la conversazione. Vediamo allora insieme alcuni significati del “non so” (e delle sue varianti: non ne ho idea, non lo capisco, ma che ne so, boh etc.) riferibili a tutte le conversazioni - non solo di coaching - che ciascuno di noi può affrontare nella vita con il partner, un collega o un amico.

La lista non intende essere esaustiva. 

Edward Hopper, Room in New York, 1932

Come reagire davanti a un "non so"

Il rispetto per l’altro rimane la priorità all’interno di ogni conversazione, sia essa di coaching o meno. Il “non so” può essere equivalente a un silenzio generativo, e quindi essere seguito da una pausa di silenziosa riflessione, oppure può rappresentare una chiusura, una battuta d’arresto (equivalente a “di qui non si passa”).

In entrambi i casi evitiamo di ignorare il “non so” e continuare dritti per la nostra strada, riproponendo ancora la stessa domanda, sue variazioni o altre domande. Mettiamoci in ascolto e proviamo a capire dove ci troviamo, cosa sia successo. Nel momento in cui maturiamo un’idea circa il significato del “non so”, verifichiamola con l’altro utilizzando lo strumento del feedback. 

In ugual modo, possiamo diventare noi stessi maggiormente competenti nell'uso del "non so". Quando rispondiamo "non so" a una domanda che ci riguarda intimamente possiamo sempre scegliere di esplicitare meglio ciò che intendiamo.


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© Foto: The Lee Shore by Edward Hopper